di Ivana FABRIS
Il 30 gennaio 2017 Totò Riina si dichiara per la prima volta disponibile a sottoporsi ad interrogatorio.
Il 9 febbraio 2017 ci ripensa e ritratta.
Il 5 giugno 2017 la Cassazione apre alla possibilità di revisione della sua condizione carceraria.
Risulta eloquente la successione temporale che è rivelatrice della condizione di fatto di uno Stato che è legittimo pensare sia ancora sotto scacco, ancora ricattato dalla mafia.
In questo paese il problema reale non sono solo le mani che uccidono e grondano sangue innocente ma soprattutto chi le arma, chi le rende ogni giorno più forti e le lascia affondare nella carne viva del paese rendendosi così ricattabile a più livelli.
Il problema da sempre è e rimane QUESTO Stato che ha intessuto ogni forma di potere e ricavato ogni genere di profitto dalle organizzazioni mafiose.
Uno Stato che si è dovuto persino inginocchiare dinnanzi alla mafia nella trattativa con essa, un passaggio storico incancellabile che ha inesorabilmente e progressivamente aperto le porte del baratro in cui la nostra democrazia – che non ha mai goduto comunque di ottima salute – continua a sprofondare.
Indignarsi sulla decisione della Cassazione è comprensibile ma il dibattito dovrebbe vertere a sancire che sul banco degli imputati dovrebbe starci ancora lo Stato che consente che le organizzazioni mafiose si sostituiscano ad esso, per trarne vantaggi politici, potere economico e controllo dei territori.
Qualcuno dirà: “Sì, ma i morti?”
I morti non contano, sono solo un danno collaterale per questo potere e continueranno ad esserlo fino a che noi tutti e le loro famiglie insieme, non esigeremo giustizia nei riguardi dei veri colpevoli.