di Ivano PORPORA
Il razzista non è un cuor di leone
Il razzista non è il picchiatore col tirapugni, ma il vecchietto che alle Poste mormora: “S’è una invasión“, la signora che sorride dice: “Marò quanto fetano”, il ragazzino che si fuma una sigaretta che ha appreso a fumare mezz’ora fa e dice: “Ci sparerei io, ai gommoni”.
Il razzista una volta lo percepivamo lontano, mezzo silente, sostanzialmente innocuo, come quello che dà del cornuto all’arbitro nello stadio e fuori gli dice: “Hai bisogno di un passaggio?”.
Solo che non è più così. Non voglio dire di chi siano le responsabilità, non è il punto; ma hanno preso campo, voce, fanno paura.
E cercano consensi.
Questo fanno sempre, questi guerriglieri dalla pistola a piombini: cercano consensi, si girano intorno mentre parlano, sorridono, cercano supporto alla loro vigliaccheria travestita da coraggio.
Il coraggio non è suonare il citofono e scappare; il coraggio può essere in mezzo a una folla plaudente non allungare il braccio, o su un podio alzare un pugno, o durante un inno inginocchiarsi.
La mia proposta è un bel flash mob, via. Ossia: tutte le volte che si senta un messaggio razzista – sto parlando di razzismo di pelle in questo momento specifico, ma estendetelo alla religione, al sesso, alla sessualità – togliamo il supporto ai cuori di leone.
Diciamo, a voce alta, No.
Non vi sto chiedendo di mettervi contro un circolo di CasaPound. A questo pensano, coff, le forze dell’ordine. Coff, coff, le autorità. Coff.
Vi chiedo di dirlo al bar, sul treno, nel bus, in posta. No. Alta voce.
È il no per cui abbiamo studiato, per cui abbiamo marciato, su cui abbiamo discusso.
Il No di generazioni addietro che ora è sulle nostre spalle, e ce le carica di responsabilità.
Non stiamo difendendo solo una persona, ma un modo di intendere la civiltà.
Non stiamo difendendo solo la civiltà, ma anche una persona – l’extracomunitario che si trova lì, chi osserva e non sa che fare, anche noi.
Niente discorsi colti – non ci arrivano -, niente preamboli. “No”, “Lei è razzista”, così.
Separiamo i lupi dalle pecore col pellicciotto, anche perché magari loro no, ma i loro figli per mutazione genetica lupi li possono diventare.
E passare da una discesa al baratro, oh, è svelta.