di Claudia PEPE
Sono entrata in aula.
Io sono insegnante in un Istituto Alberghiero di Monserrato, in provincia di Cagliari.
Sono entrata in aula, già prostrata dal dolore in cui la violenza aveva pervaso la mia Scuola.
Prima una lite tra due studenti fuori e dentro l’istituto, sedata solo dall’intervento dei Carabinieri.
Per un’insegnante vedere le forze dell’ordine entrare nella propria “casa”, ti fa capire che proprio quei ragazzi in cui dovremo appoggiare le nostre speranze, sono già perduti.
Ho pensato molto, ho cercato di capire, e ho pensato che avrei fatto sempre e comunque il mio dovere. Il mio dovere deve essere sempre rispettare al massimo la mia professione.
La mia professione e me lo ripeto ogni giorno, non è una missione, non è un apostolato, non può essere un centro missionario per ragazzi che nel loro passato e nel loro presente, usano la violenza come modus vivendi. E non è una violenza nata con loro, ma con la loro storia e il loro passato.
Quel giorno sono entrata in classe, un mio studente di 14 anni stava utilizzando il cellulare. In tutti i regolamenti scolastici l’uso del cellulare non è consentito durante le ore di lezione. L’ho rimproverato. Però non mi aspettavo quel pugno sul mio viso.
No, non mi sarei mai aspettata che un mio allievo, un ragazzo che tante volte avevo aiutato, compreso, capito, sferrasse su di me tutta la sua rabbia.
Ho perso l’equilibrio, sono caduta a terra e sono svenuta per alcuni secondi. Non mi ricordo chi mi abbia aiutato. Ero a terra, in balia di un mondo che mi vomitava addosso il suo malessere.
È arrivata l’ambulanza, i Carabinieri e mi hanno portata in ospedale.
Nel tragitto ho pensato a tutto il mio passato, a tutto quello che la Scuola è diventata.
Mi sono resa conto che siamo in nelle mani di una società che partorisce violenza senza pensare di arginarla. Un mondo che non capisce questi ragazzi.
Vittime di una collettività malata, infettata, contagiosa.
Ragazzi figli di una classe genitoriale troppo accondiscendente e permissiva.
Ma la colpa non è solo della famiglia. La vita ha colpito anche loro con i suoi tentacoli malati e squilibrati.
Mentre ero in barella, non trovavo parole per l’imbarbarimento della società, e nonostante il dolore aumentasse, provavo tristezza per quei genitori che difendono a spada tratta i figli.
Il significato della storia, della memoria e del nostro futuro, risiede nell’educazione.
Mentre il mio viso si gonfiava pensavo che sono un pubblico ufficiale.
Anche se la guancia mi faceva male mi sono messa a ridere: “Ma quale pubblico e quale ufficiale?“
Noi siamo finiti nel substrato di una cultura che non è più degna di questa parola. Siamo diventati servi dell’ignoranza, dell’analfabetismo, dell’incompetenza.
Penso che avrò un processo, forse mi accuseranno, troveranno le colpe che non ho commesso.
Perché è così che succede. Ormai siamo colpevoli di ogni cosa, noi insegnanti.
Ma la colpa sovrana, è di essere insegnanti e soprattutto di esistere.
Forza, toglieteci di torno, tappateci la bocca, bendate i nostri occhi, riduceteci a sordi, a malati mentali, a residui della società.
Sono in barella e penso che dovrò probabilmente avere un processo per aver fatto il mio dovere, ma il mio dovere è anche andare avanti contro tutto.
Contro una “Buona scuola” che ci ha assassinati come intellettuali, contro una legge che vuole lo smartphone in classe, contro quei genitori che difendono a spada tratta i figli.
Ora sto arrivando all’ospedale e mentre il mio occhio pulsa, mi rammento che negli anni ’60, ’70, ’80 se tornavi a casa con una nota, i genitori prendevano sempre la parte dei professori e ora siamo arrivati alla violenza fisica contro gli insegnanti.
Forse perché anche noi ce la cerchiamo, anche noi provochiamo, anche noi sfidiamo le tenebre di questa società. E così, oggi, che mi trovo buttata su questa barella, coperta di lacrime di umiliazione.
Mentre arrivavo all’ospedale la mia mente vagava.
Pensavo che oggi si guarda più al buon nome della scuola che a salvaguardare un docente.
Ecco, mi stanno trasportando in Pronto Soccorso e penso: “Di cosa ci meravigliamo? I docenti sono al centro di una campagna denigratoria: ruolo, autorevolezza, competenze e modalità operative. Poi se uno studente tira un pugno all’insegnante, ci meravigliamo? Tutto bene, non è successo nulla. È solo un insegnante.”
Adesso sono stanca, non voglio pensare a nulla, non voglio pensare che la mia vita sia questa.
Ho un occhio nero, ma sono un’insegnante.
Ho la mandibola che mi fa male, ma sono un’insegnante.
Ho il cuore spaccato. Ma sono solo un’insegnante.
Bella la buona scuola!!!
Un pugno in faccia ad un insegnante di primo mattino e i genitori saranno dalla parte del figlio.
Che senso ha tutto questo?? Tra un po’ la scuola come la intendiamo noi non esisterà più non quella pubblica..
Io mi cercherei alleati e costruirei barricate anche metaforiche cominciate a bocciare a partire dalle elementari come di faceva una volta..non tollero che un mio nipote in terza elementare non sappia scrivere e non cspisca quello che legge… Colpa di classi troppo numerose e genitori francamente analfabeti.non degli immigrati che spesso sono migliori. Qui si gioca solo a calcio e le bambine vestite da fatine piene di paillettes si dipingono le unghie.
Non ho figli e i nipoti sono di mia sorella che non può dire nulla.
Grande pena per l’idiota di turno e massima stima per l’insegnante.
Quello che mi fa ancora più male è che probabilmente cercheranno la motivazione di questo gesto in qualche incapacità dell’insegnante,da vittima a carnefice, perche’ se un ragazzo non va,la colpa è sempre dell’insegnante. Sono state messe in atto tutte le strategie? È stato fatto tutto quello che andava fatto? Ecc… Il bello è che noi insegnanti ( lo sono anche io se non si fosse capito) ci caschiamo e ci colpevolizziamo! Cerchiamo sempre di giustificare quei poveri alunni! Intanto dall’alto ci aiutano sempre meno, ci tartassano sempre di più obbligandoci a fare un preciso numero di ore di aggiornamento che a noi personalmente non servono spesso a nulla perché scegliamo in base al numero delle ore,così raggiungiamo il monte richiesto ed entriamo nelle grazie del dirigente che forse ci darà il bonus(“teniamo famiglia anche noi”). Forse riuscirò ad andare in pensione, forse, ma al contrario di come la pensavo qualche anno fa,senza rimpianti. Non invidio chi resta,mentre prima lo avrei pensato. Ho la netta sensazione che la” buona scuola “voglia rendere il popolo ignorante,e su un popolo ignorante si governa meglio,! Auguri alla collega!
.
Non vedo che cosa centri la legge sulla “buona scuola”.
Per tutti i mali descritti, conviene cercare altre cause, magari tornando un po’ indietro.
Altrimenti ha ragione chi ci dice che anche gli insegnanti, come tante altre persone ormai, sono un poco più ignoranti di prima.