
CANCELLAZIONE DELLE PROVINCE, OVVERO IL SOLITO GIOCO DELLE TRE CARTE

di Laura BASSANETTI
Il 27 giugno scorso all’Aran si è tenuta la prima riunione con i sindacati per dare il via alla contrattazione che terminerà con la stipula del nuovo contratto di comparto.
Mentre assistiamo agli show estivi del nostro Ministro della Pubblica Istruzione che evidentemente pensa che tutti gli Insegnanti e gli altri lavoratori della Scuola siano dei poveri allocchi pronti a bersi la promessa di stipendi doppio o triplicati, la realtà sotto i nostri occhi ci presenta uno scenario ben diverso, ma, se non altro, vero.
Pochi giorni fa si é conclusa la prima giornata di sciopero delle educatrici del Comune di Bologna indetto perché, al contrario di quanto si annuncia in questi spot elettorali, nelle Scuole (non certamente solo bolognesi) si vive la corsa al ribasso delle condizioni lavorative che determinano un peggioramento del servizio per le famiglie con retribuzioni ferme al palo e contrattazioni che arrivano a negare sia lo stipendio nei mesi estivi per molte dipendenti che la copertura del buono pasto in orario di servizio.
Per quanto riguarda l’adeguamento economico degli stipendi degli insegnanti infatti finora é stato premiato solo qualche “docente meritevole” (con le riserve del caso rispetto al termine) dando a tutti gli altri solo circa 8 euro di aumento.
Queste dunque, sono fra le premesse del tavolo di confronto che dovrebbe coinvolgere Organizzazioni sindacali e Ministero per la discussione del rinnovo del Contratto.
E’ addirittura grottesco e ridicolo che si stia parlando di “discussione” aperta nel caso di un adeguamento che manca da 9 anni con il blocco degli scatti di anzianità.
La chiamano “Buona Scuola” ma non si comprende come possa esistere una “Buona Scuola” con docenti “stressati e precari e/o malretribuiti e/o poco rappresentati”.
Infatti la situazione contrattuale dei Docenti italiani e dei loro colleghi Ata e dipendenti statali è completamente sbilanciata a favore dell’Amministrazione e ad aumenti di carichi di lavoro non corrispondono aumenti stipendiali.
Il potere contrattuale degli insegnanti è ridotto ai minimi termini, tanto che possiamo affermare che la situazione è allo scatafascio e gli stipendi sono bloccati da un decennio. Il contratto collettivo nazionale della scuola è fermo al 2006/2009, l’anno 2013 è ancora bloccato per quanto riguarda gli scatti di anzianità, le leggi 133/2008, 150/2009, 107/2015 e le deleghe alla “Buona Scuola”, hanno stravolto profondamente quello che resta dell’attuale contratto scuola.
Dopo questa sequela di leggi invasive degli accordi contrattuali, il rinnovo del contratto scuola si dovrà scontrare inevitabilmente con una normativa caratterizzata da un pesante e nuovo dispositivo legislativo e da un autoritarismo dirigenziale senza precedenti.
Adesso anche i contratti integrativi sulla mobilità sono diventati peggiorativi con l’introduzione degli ambiti territoriali e i sindacati hanno dovuto firmare un contratto sulla mobilità che deroga certamente rispetto alla legge 107/2015, ma che d’altro canto apre la strada alla titolarità del docente su ambito. Il tutto é vanificato dagli istituti previsti dalla legge come la chiamata diretta, tanto per sottolineare l’inefficacia delle firme in deroga cedute dai Confederali.
Allo stato attuale, dunque, permangono forti situazioni di incertezza soprattutto per quanto riguarda l’effettiva possibilità di recuperare il potere di acquisito dei salari che, nel corso degli anni, hanno perso circa il 15% del loro valore.
Le risorse disponibili, infatti, bastano appena per assegnare a pioggia un aumento di 15 euro netti in busta paga e, al momento, non si ha notizia di ulteriori provvedimenti legislativi tesi a recuperare il gap accumulato. E il governo non sembra nemmeno intenzionato a utilizzare i soldi stanziati per il cosiddetto merito.
E non vi è traccia di eventuali provvedimenti volti a recuperare il ritardo di un anno della progressione di carriera, introdotto dal governo Monti, che ha determinato una perdita netta a regime di circa 1.000 euro per ogni dipendente.
La FLC CGIL parla di una strada tutta in salita e piena di incognite per ciò che riguarda il confronto per il rinnovo del contratto, dovrebbe inserire un’autocritica in questo “manifesto”,spiegando che la parte sociale sta scontando l’illusoria idea che si potesse concertare e rappresentare i lavoratori dentro la concertazione di una legge che poteva solo essere respinta fin dalla sua idea di concepirla.
L’abbandono della lotta nel maggio del 2015 contro l’approvazione della legge 107 non poteva che provocare la situazione attuale che puo’avere speranze di modificarsi solo riorganizzando con impegno la classe lavoratrice che potrà risollevarsi togliendo il comando e le decisioni alla burocrazia sconfitta che non può minimamente rappresentarla.
di Fabio DAMEN
La crisi economica dietro le ragioni della Strategia della tensione, che potrebbe quindi tornare d’attualità seppur con modalità differenti
La ‘strategia della tensione’ parte nel 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano per proseguire con una serie impressionante di episodi e si conclude con la strage di Bologna dell’agosto 1980 e la ‘strage di Natale’ del 1984 (Rapido 904).
Alla base di questa strategia ci sono stati i servizi segreti – il Sid fino al 1977 e il Sismi e Sisde dopo la riforma – le forze politiche di governo, la P2 e alti ufficiali dell’esercito, mentre la manovalanza, quella che operativamente ha messo in atto tutte le stragi, è stata ‘assunta’ tra i militanti fascisti di Ordine nero e Ordine nuovo.
Lo scopo era quello di creare le condizioni psicologiche e politiche perché fosse giustificabile una politica repressiva – all’epoca qualcuno ventilò la possibilità di emettere leggi eccezionali – e, in via subordinata, di fare quadrato attorno alle istituzioni democratiche che sembravano essere messe in discussione da quei terribili avvenimenti.
Anche per reazione al terrorismo di Stato, nacque il terrorismo brigatista, che politicamente aveva le proprie radici nel tradizionale antifascismo di origine stalinista e che – soprattutto – nulla ha mai avuto a che fare con la lotta di classe. Governo e servizi segreti, negli anni Settanta, una volta individuate le Br, le gestirono dall’interno, in modo da alimentare l’idea del ‘mostro’ politico da combattere, come fosse l’unica emergenza da prendere in considerazione. In questo quadro va inserito il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
In realtà la vera emergenza era rappresentata dalla crisi economica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta/inizio anni Settanta, iniziava a manifestarsi con pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro. È stato il periodo delle prime ristrutturazioni industriali – finalizzate all’aumento dei ritmi di produzione – dell’uso massiccio della cassa integrazione e, poi, dei primi grandi licenziamenti di massa. La risposta operaia, pur non intensa, si andava manifestando nei settori trainanti dell’economia italiana. La paura degli industriali era che queste lotte potessero sfuggire di mano ai sindacati e assumere un livello politico tale da scompaginare il quadro di potere.
La coincidenza cronologica tra l’inizio della crisi, le paventate lotte operaie e la strategia della tensione, non è certamente casuale. Quest’ultima prende le mosse appena le prime avvisaglie della crisi e delle lotte operaie si presentano sullo scenario politico italiano.
In più va sottolineato come l’Italia si trovasse all’epoca ancora al centro della guerra fredda, con tutto il suo carico di valenze strategiche internazionali, per cui la salvaguardia dell’apparato politico in carica al momento era una priorità che andava assolutamente perseguita, anche a colpi di stragi e di presunti colpi di Stato.
Fare quadrato attorno alle istituzioni ‘democratiche’, salvare la ‘democrazia’ e il governo che le rappresentava dalle spinte eversive era la struttura dorsale della strategia della tensione, per contenere le lotte operai che l’incipiente crisi poteva gettare sulle piazze e per garantire l’allineamento del governo italiano all’alleato americano in chiave anti-Pci e anti-Unione Sovietica, anche se il partito di Berlinguer e gli zar del Cremlino non avevano nulla a che vedere con il comunismo e la rivoluzione di classe.
Da anni ormai si celebra la strage di piazza Fontana con una cerimonia rituale che ha completamente rimosso e nascosto le vere ragioni che ne sono state alla base. La borghesia di ieri ha fatto il lavoro sporco, quella di oggi lo celebra ben sapendo che, in caso di necessità, farebbe altrettanto, se la situazione lo imponesse. In questo modo, le vittime vengono rese di fatto complici di una pacificazione che scagiona i colpevoli e le loro ragioni nella memoria collettiva degli italiani.
Tenere in piedi in ogni caso il sistema economico capitalista, questo è l’interesse della classe dirigente del Paese. Difendere il proprio dominio in ogni modo, con qualsiasi strumento. Il potere economico, servendosi dei rappresentanti politici, sta scaricando sui salariati i costi della crisi globale ma nonostante tutto oggi bastano i servili – o inutili – sindacati a tenere buoni i lavoratori.
Oggi l’élite economica si accontenta dell’ordinario lavoro svolto dai governi democratici di vario colore – che comunque quando si tratta di manganellare certamente non si tirano indietro – i quali in questi anni hanno saputo ben soddisfare tutte le richieste del padronato: leggi antisciopero, contratti precari, riforma delle pensioni, tagli allo stato sociale, le inguardabili leggi contro gli immigrati… (1)
La guerra fredda è lontana, ma la crisi è ben presente e, qualora si riempissero le piazze di disoccupati, cassaintegrati, immigrati, disperati che non hanno di che sfamare la famiglia, il potere saprebbe ancora una volta ripetersi, con personaggi e modalità esecutive diverse, ma di egual contenuto repressivo e magari racimolando ancora una volta manodopera tra il neofascismo…
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(1) Decreti sicurezza: lo Stato si prepara al conflitto sociale, Giovanna Cracco, Paginauno n. 13/2009
Vicenda Ciavardini:
fonte: http://www.stragi.it/vicenda
di Ivana FABRIS
QUEL GIORNO, TUTTI NOI CHE C’ERAVAMO vivemmo uno dei passaggi più angosciosi della nostra esistenza.
Annichiliti, sconvolti e travolti da un dolore vivo e lacerante, guardavamo le immagini che scorrevano in tutti i telegiornali e non avevamo più parole.
Chi non ha vissuto quegli anni, difficilmente oggi riesce ad immaginare come cambi la percezione dell’esistenza, come ci si senta quando sei consapevole che vai in manifestazione e puoi saltare in aria, che puoi prendere un treno – per tanti attentati che c’erano stati – senza mai arrivare a destinazione.
Non vivevamo con l’ossessione ma coscienti lo eravamo eccome.
ERANO ANNI IN CUI SAPEVAMO DI ESSERE ESPOSTI A QUESTI RISCHI. E SAPEVAMO IL PERCHÈ.
Più la sinistra aumentava il suo consenso, più la nostra democrazia era in pericolo e più noi tutti, impegnati politicamente, sapevamo a cosa si sarebbe potuti andare incontro.
Il potere aveva paura che la sinistra potesse arrivare a governare.
E, perchè ciò NON accadesse, i morti non si contavano più, per quanti ne avevamo già avuti.
Fino a quel 2 agosto, giorno in cui tutti quei poteri si unirono e commisero una delle più feroci barbarie.
Il terrorismo nasce, cresce e viene alimentato dal potere.
IN QUEL PERIODO, MARIO AMATO, un magistrato che indagava sullo stragismo neofascista in maniera globale, cioè in tutte le sue implicazioni e sui coinvolgimenti di vari settori, avvertì più volte il CSM del rischio di gravi atti eversivi ma NON FU ASCOLTATO.
Nelle sue indagini, Mario Amato era riuscito a stabilire TUTTE le INTERCONNESSIONI tra terrorismo e istituzioni, servizi segreti, mafia, criminalità, massoneria, economia e finanza.
Come si può ben vedere, il potere è sempre lo stesso e agisce sempre nello stesso modo: fa pagare solo agli innocenti il prezzo più feroce della sua più oscura sete.
Morti innocenti che restano ogni volta senza giustizia.
Cambiano i mezzi, ma il fine è sempre quello e chiunque è sacrificabile.
OGGI NON È DIVERSO. TUTTO È COME ALLORA, SOLO PIU’ SUBDOLO E RAFFINATO: non scorre il sangue per le strade ma L’EVERSIONE È LA STESSA.
Il 2 agosto 1980, il paese ha risposto ed ha continuato a farlo ad ogni attacco.
L’eversione ci affrontava frontalmente e noi reagivamo.
Oggi ci aggredisce in maniera morbida, all’apparenza, ma feroce nei contenuti e in ciò che può determinare per la nostra democrazia, senza spargere una sola goccia di sangue.
È successo anche pochi mesi fa e abbiamo risposto ancora una volta.
Il 4 dicembre 2016 abbiamo evitato un grave pericolo, una riforma che avrebbe rappresentato un vero e proprio colpo di Stato, massima espressione del terrorismo eversivo.
Ma non basta.
Adesso serve tenere alta la guardia e vigilare perchè ovunque i segni del ritorno del neofascismo, ancora una volta con il silenzio-assenso dello Stato, sono visibili e tangibili.
Ma soprattutto SERVE DIFENDERE la nostra Costituzione, massima espressione della NOSTRA DEMOCRAZIA, e DOBBIAMO VOLERE e CHIEDERE che venga applicata una volta per tutte proprio LIBERANDOLA da chi le ha stretto le mani intorno alla gola.
Nel solo modo possibile: con l’applicazione dell’art. 50 che ci liberi PER SEMPRE non solo dai trattati europei ma anche dal pericolo di un nuovo fascismo.
Facciamolo anche in nome di quegli 85 martiri e degli oltre 200 feriti le cui vite sono state spezzate proprio perchè la democrazia doveva morire insieme a tutti loro.